MONDO ALTERATO / GIULIO MELLANA / PARIGI

Giulio Mellana / Parigi / Aprile 2020

Giulio Mellana vive a Parigi ed è dottorando in filosofia.

Come fa irruzione un improvviso confinement (come lo chiamano in Francia) nella vita delle persone? In che modo legittima la
sua intromissione, ingombrante ed inaspettata? E, in ultimo, che farne?

Il 16 marzo 2020, il Presidente della Repubblica francese ha dichiarato, per il giorno seguente, l’inizio del confinement (che, non scordiamolo, è comunque solo una delle conseguenze del decreto). Trovandomi sino al giorno prima in Piemonte ed avendo dunque già sperimentato una settimana d’inattesa quarantena, il ritorno (accompagnato da autocertificazione per il rientro al domicilio) in una Francia non ancora confinée restituiva l’immagine di un paese che non aveva al momento fatto i conti con il rischio reale. Cafés pieni, traffico automobilistico, folle di pedoni. Molti degli amici la sera del 16 marzo furono quasi colti di sorpresa dall’annuncio presidenziale – come se aldilà delle Alpi stesse accadendo un’altra storia.

Non c’è irruzione che non ci prenda per poco che sia alla sprovvista, cioè che non ci metta di fronte ai nostri errori di valutazione. L’obbligo dell’isolamento come strumento di contenimento del contagio irrompe nel tempo della vita quotidiana cogliendoci impreparati, cioè esibendo il divario – per usare un lessico diventato recentemente familiare – tra percezione del rischio epidemico e rischio reale. Se questo è il contesto, importare ricordare che affinché un’irruzione abbia successo, occorre che essa non trovi ostacoli. Ora, l’ostacolo più arduo all’irruzione di un confinement sarebbe se le persone in casa, molto semplicemente, non ci stessero. Così, tanto in Francia quanto in Italia ci si è appellati a formule vuote ma altisonanti, come l’unità nazionale, e si è ricorsi alle forze dell’ordine e militari.

Tra le strategie adottate dalla Francia al fine di legittimare il confinement e di renderlo dunque efficace, spicca, accanto all’ormai celebre “nous sommes en guerre”, l’aver da subito catalizzato l’attenzione pubblica, da parte dei media e delle istituzioni, su coloro che ignoravano le misure di distanziamento sociale, suggerite dal Governo nei giorni precedenti. Così, nel suo discorso del 16 marzo, il Presidente francese ha potuto velatamente accusare della sofferta deliberazione gli spensierati consumatori di aperò nei parchi. Intendiamoci, quest’ultimo è sicuramente un comportamento che denota una scarsa percezione del rischio
reale: ma quella percezione, chi gliel’ha prestata sino al giorno prima se non proprio quei media e quelle istituzioni che ora li biasimano? La Presidenza francese ha dunque potuto addossare la responsabilità del decreto di confinement anche agli “irresponsabili”, come se a quel decreto sia stata apposta la firma di un Presidente solo come fronzolo. E come se non fosse comunque una misura necessaria. Grottesco. Molto più convincente è stato ed è il discorso informale, nato soprattutto su internet, che argomenta in favore dell’isolamento (non senza per questo rilevarne puntualmente i luoghi critici) come strumento di protezione dei più deboli – discorso che, è la mia impressione, le Istituzioni abbiano fatto loro solo in un secondo momento e comunque in modo parziale. Così, l’azione di contrasto al collasso del sistema sanitario nazionale, consiste a rimanere sì in casa, ma consapevoli e partecipi delle ragioni solidali di un tale gesto, vigili rispetto all’evolversi della situazione, e in questo modo – aspetto che mi preme sottolineare – forse non del tutto privati della misura del proprio tempo. Perché, in effetti, rimanere isolati in casa propria per un atto sovrano altrui, non è forse essere privati della propria, personalissima familiarità col tempo? Per questa ragione – e senza indugi – occorre fare i conti con la privazione subìta per cercare, con un colpo di coda, di riappropriarsene, seguendo ragioni più alte di quelle chiaccherate in televisione. Che sia l’occasione per una riflessione collettiva
più fresca e con un rinnovato interesse per il lessico politico? Non possiamo escluderlo. Che ne è, infine, di questo tempo materiale da reinventare? Cosa farne? Per qualcuno che trascorre la maggior parte delle giornate a leggere e scrivere ad un tavolo, come un dottorando in filosofia, le conseguenze materiali del confinement sul lavoro coincidono grossomodo con un trasloco dalla biblioteca alla scrivania di casa. Non un danno irrimediabile. In effetti, le misure d’isolamento giungono, per un giovane studioso “senza laboratorio”, prive di quel sovvertimento che mi sembra tocchi i più.
Tuttavia, la vita sociale, per molti traslata sulle piattaforme in rete a data indeterminata, si è fatta confusa, maniacale e scostante. Gli anziani già socialmente isolati, vivono attualmente un isolamento ancora peggiore. E poi, la morte. I morenti, separati dai loro affetti. Ed i morti, non commemorati insieme – semplici morti, cadaveri che sfilano sui carri militari.

Confinées et confinés, isolate e isolati, ci rendiamo conto da soli che, da soli, siamo ben poca roba. Ed è una presa di coscienza amara, perché accade proprio nel momento in cui la vita sociale ci è, nella sua forma a noi familiare e per certi versi spontanea, negata. La serata con gli amici, il funerale, la biblioteca, la cena in famiglia, condividere un letto, viaggiare verso casa – sono esempi della privazione.
Da soli, siamo poca roba: consapevolezza amara, dicevo, ma pur sempre consapevole di qualcosa. Mi guardo mentre impasto la farina con le uova, tiro la sfoglia e confeziono gli agnolotti: quanto di quei gesti è davvero mio? Mi osservo suonare la chitarra, spostando le dita sui tasti giusti: il senso espresso da quei gesti, è forse roba mia? Bisognerà rispondere negativamente. La razionalità dei gesti è in realtà la vita del noi nell’io. Neanche il più sfrenato confinement può lasciarsi il mondo alle spalle, ma questo lo accompagna ad ogni mossa.
L’io è l’occasione del noi, e non c’è una singolarità che non brulichi di molteplicità, che non gorgogli di pluralità. Certo, quella dei gesti familiari, appresi e trasmessi, è una compagnia consolatoria. Ma non potrebbe consolare se stare assieme non fosse il più bel modo di stare, in generale.
Questo, non altro, ci attende alla fine dell’isolamento: sapremo tornarci con maggior consapevolezza?