(di Simone Traversa) Decido di scrivere un articolo su un regista che, fondamentalmente, non ho capito.
Ho visto al momento 4 dei suoi film, ho intenzione di guardarne ancora solo uno.
Il mio problema con Sion Sono è che non capisco se i suoi film siano opera di folle genio autodistruttivo, o di una mente talmente confusionaria e idiota che, nella massa di scene che ti propina, qualcosa azzecca.
Al termine di ogni proiezione sentivo voci pronunciarsi estasiate in merito a quanto appena visto, e mai, in quattro volte, mi è capitato di vedere le luci accendersi e pensare <<Cazzo che bel film>>.
Dei quattro visti, solo uno mi ha infastidito al punto da farmi uscire prima della fine della proiezione: “Otoko no hanamichi”. Se potete, tenetelo alla larga dai vostri occhi.
Nel caso degli altri tre sono rimasto seduto sconcertato.
Il fatto è che Sion Sono riesce a mettere in scena storie molto belle, con personaggi volutamente(?) eccessivi, che però stanno in piedi, dai quali mi sento coinvolto.
Eppure ad un certo punto il film assume un aspetto tutto scriteriato, oppure diventa talmente ridondante da far sorgere il dubbio sulle intenzioni del regista: scherza o fa sul serio?
E credo sia la risposta a questo interrogativo che consente di decodificare il lavoro del nipponico: purtroppo io, non mi sento ancora di dare nessuna risposta, ma la lascio a voi, soprattutto agli esperti di cinema.
Ci sono però due aspetti del cinema di Sion Sono che mi affascinano. Il primo, presente solo in due dei film da me visti, è la tendenza a rivelare al pubblico che si trova di fronte ad una finzione cinematografica. Sia in “Otoko no hanamichi” che in “Utushimi” spesso si vedono o altri operatori di camera, o la staffa del microfono che entra in campo, o sennò addirittura percepiamo i movimenti dell’operatore: in una scena, ad esempio, il protagonista esce da un taxi per inseguire una ragazza, invece di staccare e riprendere la corsa da fuori, noi vediamo la mano dell’operatore che apre la portiera, richiusa dal protagonista, e l’inseguimento che continua, da quel momento, la finzione non è più credibile (e infatti da lì in poi il film assume quell’aspetto di scelleratezza di cui sopra.)
Altro aspetto è il triangolo corpo-linguaggio-sesso. L’elemento sessuale è una costante, ed è una costante anche il suo presentarsi in maniera perversa. Il sesso diventa, in Sion Sono, un rituale, uno sfogo, un gesto di stizza, in realtà non si bene rivolto a chi e per cosa. Sta di fatto che nessuno, nel cinema di Sion Sono, scopa normalmente: poi verrebbe da chiedersi cos’è una scopata normale. Diciamo comunque che le scopate avvengono in circostanze non usuali, e spesso legate a motivi totalmente avulsi dal piacere erotico o sessuale. Al contempo ritorna la tematica del corpo. In “Guilty of romance” è ripetuto fino allo stremo una frase che suona tipo <<fai diventare le parole corpo, solo allora otterranno senso>>, e in “Utushimi” viene ripetuta spesso la differenza tra corpo reale e corpo falso, per quanto, alla fine, non è che mi sia risultata poi così chiara questa differenziazione.
Ma, se mi fosse permesso azzardare, imboccherei questa strada interpretativa: il sesso è un linguaggio, e i personaggi dei film di Sion Sono lo utilizzano male, o non lo sanno utilizzare; è per questo che i loro rapporti sessuali risultano a-normali, cioè privi di norma, privi di regole, e le regole sono la linfa del linguaggio. Però il sesso ha il vantaggio di essere qualcosa di fisico, qualcosa che anche se si agisce, se si fa, e basta, senza seguire parametro alcuno, acquisisce senso, o perlomeno dei risultati: si viene. Differentemente, il linguaggio, l’unico appiglio con la realtà, lo ha nel suo essere regolato, convenzionato: se il linguaggio si potesse fare corpo, allora potrebbe avere senso senza avere bisogno di regole.
È una capriola megagalattica? Forse, ma un senso alle circa 6 ore spese a guardare quei film lo dovrò pur trovare, o devo essere soddisfatto dell’atto dell’averli guardati?