Angelos Frantzis – 2015
84′
Grecia
Onde
Grecia. Un piccolo villaggio. Una cava di marmo. Una discarica. Campagna brulla nei pressi del mare, che fa pensare alle brughiere del nord.
Il film introduce rapidamente tutte queste ambientazioni in uno scontato stile fotografico ossessivamente freddo, con una serie di salti di prospettiva, esibendo nei primi minuti la sola scena riuscita, l’apparizione notturna di una demoniaca creatura dagli occhi luminosi.
Da subito viene presa, infatti, la direzione di un supponente ermetismo che scade continuamente nel farsesco: l’automobilista che vede la creatura si spoglia in mezzo a un gregge di pecore, quest’ultima si eccita e stupra con inumana violenza la sua automobile.
Il grottesco e l’assurdo con cui il regista condisce il suo prodotto appaiono come soluzioni di maniera, imbellettamenti pseudoconcettuali montati su una totale mancanza di idee e di senso estetico: per questo non possono reggersi, per questo non possono essere rette, per questo il film risulta quasi tanto ridicolo quanto noioso.
Il mostro si aggira anche alla luce del giorno, con i suoi vestiti da punk (ma tirati a lucido) e la sua maschera da teschio con le lunghe antenne, braccato dagli abitanti del villaggio mentre sfoga le sue inarrestabili pulsioni sessuali su sacchi della monnezza e pareti rocciose.
Una donna vede uomini con maschere da coniglio del tipo scopiazziamo-Lynch-accazzo, che però – soluzione orrida anche nel contesto del tema di terza media – sono solo sogni, guida gli uomini nella caccia al demone, si arrampica su una sorta di gigantesco setaccio piazzato in mezzo al nulla per poi ridiscenderne, si ricorda di ordinari discorsi di una cena del passato, chiede alla madre si essere amata e la madre di fronte a tutto questo decide comprensibilmente di tagliarsi le vene.
Il minestrone non è nemmeno inserito in un contesto radicalmente antinarrativo. Questo coraggio manca al regista, che basa invece le sue costruzioni su una storia lineare quanto banalissima, con tanto di finale più telefonato che in un blockbuster hollywoodiano (dal quale almeno ci si sarebbe potuti aspettare qualche sparatoria).
I temi portanti sono l’esclusione del diverso, la paura e l’amore che le si oppone, il sacrificio. La gravità degli argomenti trattati è dunque resa dalle scelte sonore: mutismo totale per tutto il primo terzo del film, poi dialoghi quasi assenti e condimento a suon di due (due!) piagnucolosi accordi che appaiono qua e là. Nel silenzio della sala, da metà film in avanti, solo il fragoroso russare del più saggio tra gli spettatori ha fornito un senso al trovarsi lì di tutti gli altri.
Lucaz