(di Simone Traversa) Seguirò il commento delle registe Coulin riguardo il loro film, e farò di volta in volta le mie considerazioni. Recupero il testo dalle righe presenti nel megalibrone del TFF dato in dotazione agli accreditati. “Nel momento un cui abbiamo sentito parlare di questa storia ci siamo rese conto che era intrigante.” Ecco. Intrigante. Intrigante perché? È intrigante il fatto che 17 adolescenti decidano di rimanere incinte tutte assieme come segno di solidarietà verso un’amica che, per un colpo di sfiga (banalmente il preservativo rotto), è rimasta incinta? Ammettiamo che la cosa possa stuzzicare qualche cordicella, ma andiamo avanti col commento “e che nello stesso tempo poteva anche dire molto sulla società di oggi.” Ecco, giusto! Ma cosa? Perché francamente dal film non si capisce. Insomma, una ragazzina rimane incinta, contro l’opinione della madre e il generico e generale parere del mondo adulto, decide di tenere il bambino, riuscendo nel frattempo a creare una cricca di pseudo-madri diciassettenni che sognano una comune materna, non hippie (sia mai, troppo poco cool, e nemmeno vintage), in cui i figli cresceranno insieme, e dove i rapporti madri-figli risulteranno limpidi e amichevoli, aiutati dall’assenza del gap generazionale che, chiaramente, è solo un fatto di età. Insomma, sono queste le 17 figure che dovrebbero rappresentare un aspetto della nostra società?
Continuo con le citazioni “Le scelte disponibili sono poche per gli adolescenti e né i genitori né gli insegnanti o nessun altro trova un modo per offrire loro un’altra prospettiva.” Primo, la prospettiva altra, in realtà, non bisognerebbe aspettarla servita dal servo su un vassoio d’argento, la si dovrebbe creare. Ma va beh. Sarà poi vero che sono loro l’armata delle amazzoni che presenta le caratteristiche per ribaltare la nostra società? Francamente, a me, sembrano 17 cretine, e il film non fa che presentarci un’armata di 17 macchiette, senza alcun spessore psicologico e, anzi, qualsivoglia chance di scontro viene risolto senza spiegarlo. Ad esempio, il rapporto conflittuale tra la protagonista e sua madre, avrebbe potuto dirci qualcosa di più riguardo la decisione, da parte della protagonista, di tenere il figlio e fondare un Falansterio materno; invece, tempo qualche scena, e SBAM! madre e figlia ridono e scherzano, e magicamente la questione si risolve. Evviva!
Ma c’è un altro aspetto, il più grave, a mio modo di vedere, ed è l’assenza di una figura maschile reale, forte, autorevole o autoritaria. Manca il padre, manca l’uomo. E anche questo goal a porta vuota le registe riescono a mancarlo mirabilmente, spedendo il pallone sugli spalti. Infatti, mi sta bene parlare dell’assenza del maschio, e il film presenta tutte le carte in regola per poterlo fare: ma non c’è nessun approfondimento, nessuno sguardo critico su questa assenza, il che mi fa sospettare che le registe abbiano pagato i guardialinee e giochino in costante fuori gioco: ossia, per eliminare anche un ulteriore elemento di problematicità, il maschio, fanno che rimuoverlo. Ma il rimosso ritorna. La protagonista vive con la madre, e la figura paterna è incarnata dal fratello: del padre non ci viene detto niente. Perché non c’è? Che fa, dov’è? Boh? Come sono rimaste incinte le ragazze? In tutto questo, i rispettivi compagni sono cazzi eiaculanti, e basta: la paternità è esclusa totalmente dal discorso, senza che però venga fornita alcuna motivazione di questa esclusione.
Il film, in generale, è ipocrita. Le registe sembrano fin dall’inizio solidali con le 17 ragazzine, solidarietà che si rivela in tutta la sua inautenticità nel finale quando, la ragazza, leader delle madri adolescenziali, a seguito di un incidente, perde il figlio e lascia la città, abbandonando a loro stesse le altre madri-ragazze. A questo punto ha inizio un monologo, che definirei banale e del cazzo, in cui stringi stringi la morale è “ragazze, va bene, volevate i bambini, ma noi ve l’avevamo detto che erano solo capricci.” Ma anche qui, su calcio piazzato, le registe mancano la porta e addirittura si fanno autogol, perché in realtà non hanno nemmeno il coraggio di dire da quale parte stanno, ossia dalla parte degli adulti, dei grandi, che sanno che i figli non sono feticci, non sono oggetti che si portano a spasso per la città come simbolo della propria emancipazione perché per quello esistono le All Star. Ecco, no, niente di tutto ciò. La frase finale recita “una ragazza che sogna non si può fermare” o una stronzata simile. Della serie “sogna sogna, tanto sei un treno destinato a infrangersi contro il muro della realtà.”
Un film godibile, ma che lascia tutto invariato. Come le 17 isteriche.