di Quentin Dupieux, Francia/USA, 2013, DCP, 82′
Sezione TFF 2013 – After Hours.
La prima cosa spontanea a cui ho pensato vedendo l’agente Duke spacciare topi morti incellofanati e imbottiti di marijuana è stato un romanzo di Irvine Welsh.
Diseducativo, volgare, aggressivo, “Wrong Cops” è uno dei film più pulp di tutto il Festival, dove alla caterva di parole poco forbite e alla completa assenza di valori morali vengono sommate situazioni paradossali e musica (volutamente) pessima. Non vi sono né un vero e proprio inizio, né un vero e proprio svolgimento, né una vera e propria fine. Così come non vi sono dei veri e propri personaggi per cui provare empatia: rozzi, sgraziati, con qualche chilo di troppo e la calvizie imminente, tutti i poliziotti che fanno la loro comparsa sono pieni di difetti, non uno che si salvi. E forse è proprio qui che sta l’originalità di Dupieux, nella capacità di accartocciare e gettarsi alle spalle i soliti canoni che rendono un personaggio zeppo di cliché e, in un certo senso, noioso.
Anche se nella scelta di sequenze o di tipi di ripresa non eccede particolarmente, la resa globale del film trascina e diverte qualsiasi sorta pubblico in grado di sopportare violenza mista a parolacce. Forse per la trama che c’è ma non c’è, forse per gli intrecci sempre più avviluppati che coinvolgono tutti i presenti, forse per il modo di narrare a balzi temporali e a incastri tempestivi, o forse ancora per il finale senza una logica e il prominente ruolo che l’assurdo ha in tutta la vicenda. Sembra quasi di leggere un racconto di Ammaniti ambientato in America, di rivedere una sottospecie di remake del rinomato Pulp Fiction vissuto da una prospettiva diversa. Che Dupieux non abbia soltanto il nome di battesimo in comune con Tarantino?
Volto a denunciare con un’ironia caricaturale la corruzione del poliziotto americano, “Wrong Cops”, oltre che a strapparti un sorriso e darti il tempo di pentirti e di ringraziare di essere andato a vederlo, ti lascia addosso la consapevolezza atroce che molto probabilmente persone sulla stessa lunghezza d’onda degli agenti Duke, Rough, Sunshine, Renato e Shirley esistono davvero, da qualche parte nel mondo.
Mi raccomando, non provateci a casa.
di Sara Braghin