di Yu Lik Wai, Brasile, Cina, Hong Kong, Giappone, 2008, 35mm, 95′
Sezione TFF 2013 – Onde/omaggio a Yu Lik Wai
Plastic City è il compimento di tutto quello che Yu Link <Wai ha seminato dal suo debutto. C’è il lavoro del sapiente artigiano dietro la direzione della fotografia, c’è la visionarietà del regista, c’è l’ironia del cinefilo e la voglia di sperimentare dell’artista.
A São Paulo tutta la merce contraffatta che si muove tra il porto e i magazzini del malaffare carioca è gestita da Yuda, cinese in fuga dal proprio Paese che in Sud America si è ricostruito la vita e ha trovato fortuna.
Le cose si complicano quando l’accordo con un politico, mediato dall’amico Coelho e uomo con le mani in pasta, sfugge di mano e Yuda finisce in prigione.
Il figlio adottivo Kirin, fino a quel momento in procinto ad abbandonare la vita del padre per iniziarne una nuova con la prostituta di cui è innamorato, non ha altra strada che quella della vendetta e dell’odio.
La vendetta porterà il giovane Kirin a confrontarsi con la figura paterna e il potere fino a intraprendere un cammino di trasformazione continua violenta da film di formazione al rovescio.
Tra corruzione, scorribande per la giungla di cemento della periferia di São Paulo e scene da gangsta-movie che omaggiano Scorsese (ma anche Tarantino e Leone) la storia prosegue in una vertiginosa spirale che finirà la sua folle corsa nella giungla pluviale, tra sciamani e fucilate, riprendendo la scena iniziale, a ribadire con la circolarità della narrazione la vocazione mistica e onirica del cinema di Linkwai.
I temi della violenza e del dialogo delle culture (il film è girato in cinese e portoghese) sono trasformati dallo sguardo sciamanico e mistico del regista, tra simbolismo e ossessione per il colore.
Il film pare un inno multiculturale al cinema d’azione che strizza l’occhio anche all’animazione giapponese e alle distopie fantascientifiche hollywoodiane, in perenne oscillazione tra surrealismo e documentario di strada.
Un film in cui perdersi e riperdersi e che è stato anche di ispirazione per le atmosfere e la fotografia di Only God Forgives di Refn.
di Roberto Origliasso