di Mariana Rondón, Venezuela, 2013, DCP, 90′
Sezione TFF 2013 – Torino 31
Junior è un ragazzino mulatto costantemente alle prese con i capelli ereditati dal padre nero: indomabili ricci afro che vorrebbe lisciare per sentirsi un cantante. Così vorrebbe apparire nella foto scolastica, che però non può fare non avendo i soldi per il fotografo.
La lotta che deve intraprendere quotidianamente non è solo con la sua acconciatura ma anche con la madre, distante e incapace di prendersi cura di lui dopo la morte del padre e che riversa tutte le sue attenzioni sul figlio più piccolo, in un Venezuela violento sempre presente nello sfondo delle sue avventure, rappresentato da uno sparo che risuona tra le case della periferia o dalla continua presenza di poliziotti o agenti privati di sicurezza. Anche la madre di Junior era un’agente di sicurezza e cerca di ottenere nuovamente il posto di lavoro, perso dopo una “cazzata”.
Ma tra l’ostilità di Junior per i capelli ricci, il desiderio di lisciarli e il terrore della madre per il suo amore per il ballo si nasconde un segreto, una parola che è un tabù pronunciato solo verso la fine del film, tra le mura di uno studio medico difeso dal segreto professionale. Qualcosa che gli adulti paiono capire (e temere) più di Junior stesso, qualcosa che ha a che fare con il suo corpo che cambia, con le sue amicizie e con il sensuale ragazzo della bancarella sotto casa, Mario. Qualcosa che Junior non capisce ancora ma che ha a che fare con il maschile e il femminile, con l’uso dei corpi e gli stereotipi che la macchina da presa ci mostra senza sconti (memorabile il discorso alla madre del pediatra secondo cui se il figlio cresce maricòn è colpa dell’assenza di figure con ruoli maschili nella sua vita e altrettanto terribile la reazione della madre che costringerà il figlio ad assistere ad un amplesso tra lei e il suo ex datore di lavoro).
Gli adulti del film non fanno una bella figura: sono sordi al mondo dei bambini, alle loro richieste, non li proteggono dalla realtà che li circonda, fatta di degrado e povertà, e arrivano a essere loro stessi violenti e maltrattanti. Anche la nonna che pare per un momento saper dare a Junior quello che chiede e di cui ha bisogno, in realtà lo vede come una pedina di scambio in una partita a scacchi con la nuora per la memoria del figlio e, se all’inizio sembra in grado di restituirgli identità e dignità perdute, in realtà cerca solo di plagiarlo per la propria vanità.
A rendere speciale il film è l’utilizzo dei tempi e dei ritmi che si sposano bene con i diversi registri. Mai troppo lento, a volte quasi da commedia, sa dare spazio alle questioni identitarie e alle riflessioni sui generi.
Il film è in costante equilibrio tra momenti leggeri dove protagonista è il mondo dei bambini e momenti in cui il mondo degli adulti si insua con tutta la sua prepotenza.
La regista, Mariana Rondòn, nel finale distrugge l’equilibrio tra realismo e possibilità di sognare, tra dramma e possibilità di riscatto mantenuti per tutto il resto del film. Adulti senza salvezza né riscatto toglieranno la speranza anche a Junior, senza più identità, voglia di ballare e cantare e senza capelli, nella speranza, vana, di compiacere una madre che non gli nasconde di non amarlo.
Dei film in concorso al Tff è l’unico presentato in pellicola ed è uno dei pochi ad usare tale supporto in tutta la manifestazione.
di Roberto Origliasso