Paola Gandolfi
6’
Italia – 2016
Italiana.Corti
Quattro i cortometraggi raccolti sotto un macro gruppo, chiamato Wild Horses. Come anche per gli altri gruppi (Shine a light e Time is on My Side), è il titolo di una delle canzoni più famose dei Rolling Stones scritta da Mick Jagger e Keith Richards nel 1971. Ma cosa hanno in comune un gruppo britannico rock e dei corti italiani? Questa è una domanda che continuerò a portarmi dietro, perché non mi è molto chiara la loro connessione, ma ho comunque cercato di analizzare la canzone in base agli argomenti dei film. Credo che nessuno di questi filmati sia legato tra loro, ma piuttosto ognuno riprende un tema trattato nella canzone: Last Ship parla di una famiglia ben radicata nelle sue origini e nella sua attività lavorativa che “nemmeno i cavalli selvaggi potrebbero trascinare via”(wild horses couldn’t drag me away), come dice il gruppo inglese. Alla stessa strofa si ricollega anche Onikuma, che narra di un animale mitologico che si ciba di cavalli,”cavalli selvaggi” per l’appunto. In tempo per modifiche temporali si ricollega al tema dell’infanzia, citata dai Rolling Stones come una “childhood living is easy to do. The things you wanted I bought them for you”(l’infanzia è facile da vivere, le cose che ti servono qualcuno te le compra). E infine Tanjatales viene ricondotto facilmente alla sofferenza e al dolore. “i whatched you suffer a dull aching pain” (ti ho vista soffrire di un dolore sordo e insistente).
A volte ci capita di ritrovare vecchi filmini della nostra infanzia fatti da genitori, nonni o zii e, di solito, finiscono dritti nel cestino o nel dimenticatoio. Ma così non è stato per Paola Gandolfi che, con l’aiuto della sua creatività, ha deciso di presentare una di queste riprese al Torino Film Festival.
L’immagine fissa è quella di una bambina che si sta preparando per il suo primo giorno di scuola. Questa per la regista, è un punto di partenza, una tela su cui scarabocchiare, togliere o mettere le ombre e le luci, sporcare il viso della bambina e persino staccarle e riattaccarle la testa, il tutto con l’aiuto delle tecniche di photoshop.
Non è ben chiaro quale sia, per la regista, lo scopo di tutto ciò; come se volesse lasciare agli spettatori carta bianca sul significato.
Le due interpretazioni che ho avanzato, l’una l’opposto dell’altra, potrebbero essere o il senso di rabbia verso un passato che si vuole dimenticare o una divertente creazione della regista durante un momento di svago.
Forse non avrò capito il senso, ma una cosa mi è ben chiara: d’ora in poi non butterò mai più via i filmati di famiglia, chissà se in futuro mi torneranno utili.
Emma Squartini