di Manuel Martin Cuenca, Spagna/Romania/Russia/Francia, 2013, DCP, 116’
Sezione TFF 2013 – After Hours
Un consiglio che mi sento di dare, così, su due piedi, è quello di leggere sempre prima la trama e il genere del film che si sta per vedere. Perché se siete i classici cinefili che difficilmente digeriscono un thriller crudo e perverso, allora “Canìbal” non è esattamente ciò che fa per voi.
Personalmente ammetto, e pure con una certa nonchalance, di essere una donna (delle poche?) che apprezza la drammaticità portata agli eccessi, la violenza collocata in un contesto consono e la spietatezza sia psicologica che fisica in grado di rendere un thriller tale. Però (ebbene sì, abbiamo un però) guardando il film di Cuenca non sono riuscita a soddisfare appieno le mie aspettative noir.
Carlos è un sarto in giacca, bretelle e cravatta che ogni tanto, di notte (o quando il frigo è vuoto?), si trasforma in un cinico serial killer che insegue le donne da cui è attratto, le ammazza, le porta nella sua baita sperduta in montagna, le fa a fette e le ficca nel congelatore a mo’ di scorta per l’inverno. E fin qui tutto bene, narratologicamente parlando: le scene forti sono dettate da quel “vedo non vedo” che scuote nella giusta maniera il pubblico, senza togliere spazio all’immaginazione; la scelta dei rumori e dei particolari ripresi è adeguata e molto, obiettivamente, suggestiva. Tutte cose alla fine ottimali, in termini di conformità al genere in questione.
Ma ciò che mi ha fatto storcere il naso (e quasi assopire, in uno o due momenti davvero critici) sono state le riprese della vita quotidiana di Carlos molto lente. Non che abbia qualcosa in contrario con le introduzioni descrittive del protagonista di turno, ma trovo alla lunga esasperante far vedere come l’omicida viva ogni giornata, dal mattino con una tazza di latte, alla sera con una bella bistecca al sangue. Fosse una carrellata veloce di particolari utili non solo a livello di caratterizzazione ma anche di trama, magari incalzata da una qualsiasi colonna sonora adatta, sarebbe un altro discorso. Invece qui abbiamo dialoghi scarni, zero musica in sottofondo, telecamera fissa su scene lunghe e pochi cambi di ripresa. Quasi quasi non si vede l’ora che Carlos passi all’azione e accoppi qualche bella fanciulla, annientando così il torpore generale.
La mia ultima stilettata infine va alla poca chiarezza di alcuni dettagli, come, per esempio, il vero motivo per cui il serial killer fa quello che fa, o personaggi che compaiono ad intermittenza forse come mero contorno di sceneggiatura.
Che sia io troppo rigida ed esigente? Beh, non vi resta che provare per credere.
di Sara Braghin