di Philippe Le Guay, Francia, 2013, DCP, 104’
Sezione TFF 2013 – Festa Mobile/Europop
Molière in bicicletta è un esempio di come a Natale non si ride solo ai cinepanettoni. Commedia scritta e diretta da Philippe Le Guay, Alcèste à bicyclette fa ridere, ridere e ancora ridere. Si ride di cuore e di gusto, sonoramente, scambiando talvolta sguardi increduli con i compagni di poltrona. E si ride dall’inizio alla fine. Come il film possa possedere il pregio di non scadere mai, senza abbassarsi di tono e mantenendo quasi sempre viva l’attenzione si capisce immediatamente grazie alle geniali trovate della sceneggiatura e al senso cinico molto fine dei suoi interpreti.
In una sala Massimo gremita di un Torino Film Festival in forma, Philippe Le Guay ricorda quando gli attori francesi ed italiani si scambiavano paese e nazionalità, recitando gli uni nella lingua degli altri, tanto che qualcosa lo fece innamorare del cinema: il fatto che ci fosse chi non sapesse più se “Mastroianni fosse francese o italiano”.
Ben sostenuta dal talento di un grande regista e di due bravi attori (Fabrice Luchini e Lambert Wilson) il film vanta in più di avere come sottotrama il testo originale della pièce Il Misantropo di Molière, capolavoro ed orgoglio nazionale d’oltralpe. Vi è dunque un sottile e delizioso parallelismo fra l’opera del grande drammaturgo francese e la storia che si intreccia lungo tutto il film di Le Guay.
“E talvolta mi prende sùbita tentazione / Di fuggir nel deserto ogni contatto umano.”
Serge (Luchini) è un grande attore che si è ritirato da tre anni a Ile-de-Re, luogo di villeggiatura poco conosciuto che sembra galleggiare in un eterno fuori stagione, isola piovosa i cui semplici e ingenui abitanti sembrano aver sviluppato un mondo a sé nel quale scorrazzare tutto il giorno in bicicletta. Qui, in una casa fatiscente eredità di uno zio, Serge passa le sue giornate lontano dal mondo che ha abbandonato dipingendo nudi di donna, protetto così dallo spettacolo quotidiano di opportunismo malcelato di colleghi e compagni di lavoro.
Serge racchiude in sé quella tenerezza quasi puerile di un uomo che ha rinunciato al contatto con il prossimo perché incapace di affrontare gabbie e convenzioni di una società spietata ed interessata. Lo spettatore più sensibile fa presto ad identificarsi, perché il suo rifiuto rispecchia l’impossibilità di piegarsi alla meschinità servile della natura umana. Questa convinzione, che dischiude anche insicurezze personali e professionali, nasconde in sé tutte le piccole grandi delusioni ricevute da un mondo compiacente e violento. La purezza di Serge, è una purezza che fa sorridere, amaramente. Mentre si ride a crepapelle dei suoi eccessi.
Gautier Valence (Lambert Wilson) è invece un attore all’apice del successo. Va a cercare l’amico che si nasconde perché ha bisogno di lui per un ambizioso progetto: portare in scena Il Misantropo di Molière. Molière. Il mostro sacro che nessun attore francese osa affrontare. Il Misantropo, il testo sempre sognato. Due amici, due ruoli. Alceste, che ha sviluppato per i suoi simili ”un odio spaventoso” e che ha per i malvagi quell’avversione vigorosa “che il male deve sempre destare negli onesti”, e Filinto che rappresenta l’adeguarsi ai costumi, l’uomo integrato che fa buon viso alle regole di perbenismo e falsità della corte e si professa amico del recalcitrante misantropo cercando di convincerlo a riconciliarsi con il genere umano.
Gautiere ammette che nessuno mai gli assegnerebbe il ruolo di Alceste e così lui, che dalla sua ha potere e denaro, quel ruolo se lo prende da solo. Ha però bisogno dell’amico come si ha bisogno di competenza e purezza. Ma l’incredulo Serge, già sconvolto di vederlo in quel luogo d’isolamento, impressionato dalla scelta imponderabile di mettere in scena Il Misantropo, non ci sta. Lui ha chiuso con il teatro e non può tornare indietro. Ha mollato tre anni prima un film a cinque giorni dalle riprese ed è stato trascinato in tribunale. Mentre era in depressione.
Iniziano così cinque giorni di prove sull’isola, durante le quali i due attori si giocheranno i ruoli di Alceste e Filinto a testa o croce. Ma, non senza problemi, fra i due sembra nascere un’intesa forte. A rompere il delicato equilibrio sarà un’italiana (Maya Sansa). Anche lei in crisi, anche lei sospesa sull’isola quasi a voler dimostrare come, in fondo, la tesi del misantropo sia sempre valida. L’uomo che per tutti ha sospetto e diffidenza, ma fra i pochi a saper amare davvero. E per cui “stimar tutti è come non stimare nessuno” .
“Se in mezzo ai vostri simili voi vivete da lupi, / Non passerò i miei giorni, manigoldi, fra voi. “
Il finale lascia lo spettatore come un attore che ha dimenticato la battuta, muto e immobile nel vuoto della scena e per un interminabile istante pieno di terrore, ma con il sorriso ancora stampato selle labbra.
Da vedere.
di Veronica Visentin