Sion Sono – 2016
78′
Giappone
After hours
Seconda pellicola del 2016 del prolifico Sion Sono, Antiporno si inserisce nella tradizione giapponese dei pinku eiga (letteralmente pellicole rosa, termine cappello per indicare l’analogo del cinema erotico nel Sol Levante), rivisitata sotto richiesta della Nikkatsu. Sono sfrutta l’occasione per riproporre sullo schermo alcune dei temi portanti dei suoi film: le frustrazioni amorose, la repressione pulsionali di fronte alle costrizioni sociali, il torbido del corpo come elemento caratterizzante della vita e allo stesso tempo cifra massima di repulsione.
Kyoko, la protagonista, è presentata inizialmente come una stella dell’arte contemporanea, apprezzata e ricercata da critici e fotografi quanto nevrotica e violenta, che non esita a sfogare il suo tumulto interiore sull’assistente e sottoposta Noriko. Questa è la facciata proposta allo spettatore, facciata che presto crolla con la rivelazione metafilmica del set cinematografico (composto rigorosamente da uomini, al contrario della scena tutta al femminile) di cui Kyoko è protagonista. Con questa destrutturazione della narrazione iniziale comincia anche la vera e propria destrutturazione del trauma della protagonista, che emerge sempre più insistente nel corso della pellicola: la sorella, eccellente pianista, morta suicida; il rapporto turbante con la sessualità dei genitori; il primo rapporto, depersonalizzato, distaccato, insudiciante, come sottolinea la sua riproposizione da film nel film.
Accanto alla destrutturazione del trauma di Kyoko vediamo anche il ribaltamento di ruoli con la collega Noriko: è lei ad essere la dominatrice, a più riprese, della protagonista, che viene insultata, disprezzata e sminuita ripetutamente. Il ribaltamento si ripropone nel corso della pellicola, forse eccessivamente per trasmettere un messaggio tutto sommato limitato.
Il comparto tecnico di Sono è, come al solito, eccellente: i colori primari saturi che incendiano l’occhio richiamando all’ambiente divista della pop art, le inquadrature da manuale del softcore, per l’appunto erotiche ma mai esplicite (forse, per davvero, anti-porno?), il comparto sonoro che esalta e collabora con la fotografia nella creazione dell’atmosfera angosciante (una finezza l’effetto sonoro utilizzato nelle scene di nausea della protagonista, ripreso quasi uguale nelle cascate di colore alla Pollock che insistono nel finale, quasi a suggerire un parallelo tra il rigetto fisico e la liberazione esistenziale di Kyoko). Il punto debole della pellicola è invece la profondità del messaggio. Nonostante Sono aspiri alla rilevanza politica e culturale con una riflesisone, ripetuta a più riprese nella pellicola, su una nazione (il Giappone, ma il discorso è estendibile) in cui “nessuna donna può esercitare la libertà di parola”, la costruzione psicologica della protagonista è di stampo classicamente freudiano e non rompe gli schemi della scelta del porno come reazione alla violenza (fisica o psicologica che sia).
In definitiva, Antiporno è un film che soddisfa le aspettative instillate dal titolo stesso? Dove sta la rottura degli schemi, l’antitesi al porno, oltre il gioco di richiami cinematografici? Dov’è la rappresentazione nuova di un rapporto con la carnalità, un rapporto che non sia morboso e vincolato dalle imposizioni sociali, ma libero e, in ultima analisi, liberatorio? Non spetta probabilmente a Sono, regista uomo, individuale e istrionico, proporre un’elaborazione così intricata, sicuramente titanica in poco meno di 80 minuti. A fronte di questa mancanza, però, il film risulta molto meno incisivo di quanto potrebbe – sicuramente sotto tono rispetto a sue pellicole precedenti anche meno ambiziose.
Alessio Bucci