di Sébastien Betbeder, Francia, 2013, DCP, 93′
Sezione TFF 2013 – Torino 31
Ambientato in Francia e, soprattutto, a Parigi nei suoi luoghi più comuni e abituali – i parchi, la metrò e i caffè – Sébastien Betbeder ci immerge in un alternarsi di stagioni (l’autunno e l’inverno) all’interno delle quali si muovono di pari passo i suoi personaggi.
Gli attori recitano nel film ma, contemporaneamente, si rivolgono al pubblico attraverso un contatto diretto con la macchina da presa. Pare che questi stiano parlando proprio a noi che li guardiamo, come se stessero rispondendo alle domande di un’intervista, palesano al pubblico di voler comunicare direttamente con lui. Infatti, il regista affida ai personaggi il ruolo di commentare, attraverso voci narranti e frontali, lo svolgimento delle vicende che si snodano tramite una struttura divisa in capitoli.
Proprio la scelta di inserire una sorta di documentario nel film, rende il tutto una sorta di autoritratto dei personaggi protagonisti, che allacciano un contatto diretto e rendono partecipe dei loro interrogativi il pubblico affascinato da questo insolito approccio. Il film appare quindi sottotitolato, non solo in inglese e in italiano, ma dai personaggi stessi, alla ricerca di una propria identità, che problematizzano, chiariscono e, talvolta, rivolgono e suggeriscono domande allo spettatore.
Betbeder è in concorso al 31° Torino Film Festival e non realizza nulla di nuovo nel suo film, ma è evidente che abbia voluto rompere quel muro che si crea tra lo spettatore e l’attore. Grazie a questo espediente, il film acquista una sfumatura particolare che, inizialmente, può spiazzare, ma che attraverso Arman (Vincent Macaigne) e Amélie (Maud Wyler) porta sullo schermo un amore diverso, la precarietà della vita, i rapporti con gli amici e un tocco di ironia, seppur semplice, che ci trasporta dall’inizio alla fine.
Trovo sia una pellicola, nonostante tutto, un po’ lenta in alcune sue parti e che non invoglia a una seconda visione. Tuttavia, la prima rimane certamente impressa nella memoria.
di Giulia Ferrero